In molti parlano di quanto è bello fare startup, ma solo in pochi raccontano le difficoltà di questo percorso.
La vita di uno startupper, soprattutto, nei primi anni è un continuo equilibrio tra il successo e l’insuccesso. I fallimenti sono all’ordine del giorno, solo il 10% delle startup riesce a raggiungere l’obiettivo, il restante 90% fallisce nel corso dei primi 3 anni.
Le ragioni possono essere varie: la principale è aver finito i soldi, liti nel team, non aggiornarsi in tempo, un errato modello di business o un prodotto che non risolve alcun bisogno reale e il mercato non è disposto a pagare per averlo.
In tal senso vi consigliamo la lettura dei 10 trend del digital marketing da tenere sott’occhio e come gestire il team, alcuni segreti. Ma ora procediamo col nostro focus.
La buona notizia è che a contrario del pensare italiano, negli USA e negli altri paesi europei il fallimento non ha valenza negativa, anzi, per uno startupper può essere un’occasione fallire e fare esperienza.
È uno dei metodi più efficaci per imparare in fretta la lezione, ricominciare ed ottenere successo.
In Silicon Valley è persino visto come qualcosa di positivo: uno startupper che ha fallito più volte ispira di più gli investitori, perché sanno che ha già esperienza e che non ripeterà più gli stessi errori.
Anche i più grandi hanno fallito, sì dice che il vero fallimento è non provarci, perciò non bisogna avere paura e soprattutto non bisogna pensare che rappresenti una macchia sul curriculum, quando si chiedono soldi agli investitori.
In questo articolo analizziamo alcuni casi di fallimento, perché si può apprendere molto dagli errori degli altri.
Continua a leggere l’articolo per scoprire le startup che hanno ottenuto la fiducia degli investitori (alcune che hanno raccolto investimenti milionari) e dei loro consumatori, ma che nonostante queste importanti condizioni sono riuscite a fallire.
3 storie di fallimenti da cui imparare
Theranos: proponeva un nuovo macchinario per semplificare le analisi del sangue. Capace di effettuare centinaia di test diversi. Un apparecchio che utilizzava campioni di sangue molto più piccoli per effettuare tutti i test, in sole quattro ore.
Gli investitori si avventarono su Theranos, la startup concluse un round di 7 milioni, poi 2 da 16 milioni, uno da 28,5 fino a quello record di 400 milioni di dollari. Vennero valutati 9 miliardi di dollari.
La startup era stata finanziata per sviluppare e lanciare sul mercato il miniLab, il tester ideato dalla fondatrice. Il problema è che l’apparecchio non funzionava. Settembre 2013 era la data di lancio prevista per il miniLab, una data che diventò sempre più irrealistica, visto che non avevano il prodotto promesso.
Theranos viene accusata di aver impiegato personale non qualificato, di non aver conservato correttamente i campioni di sangue, che sarebbero stati addirittura diluiti per mantenere alcune delle promesse mirabolanti fatte dalla startup. Si scoprì che mancavano importanti documenti sui protocolli adottati. Arrivarono anche le prime accuse di pubblicità ingannevole e truffa.
Nel mondo dell’innovazione, i ritardi sono all’ordine del giorno. In Silicon Valley nessuno si sarebbe stupito di un ritardo da parte di Theranos.
Theranos ha chiuso definitivamente, annunciando la restituzione dei fondi ai creditori.
La cosa più assurda della storia di Theranos è che fallimenti e ritardi non sono solo comuni nel settore del tech, ma sono talmente comuni da non fare notizia.
Purtroppo avrebbe dovuto anche ammettere che il miniLab non avrebbe mai funzionato. Sarebbe stato imbarazzante e forse avrebbe compromesso la carriera dei founder, ma avrebbero risparmiato il groviglio legale che ne è seguito.
In altre parole, l’errore dei founder è stato di rifiutarsi di fare ciò che molti altri imprenditori fanno quotidianamente, ammettere di aver fallito.
BeMyGuru: era una startup che ti aiutava a trovare online i consulenti giusti. La startup ha iniziato benissimo il suo percorso: più di 200 esperti qualificati in tante macroaree, l’ingresso in un importante acceleratore, un contributo di 80mila euro tra cash e servizi. Eppure tutto questo non è bastato.
Il fallimento è arrivato per due motivi: il primo un modello di business poco sostenibile, poiché non era saggio puntare su un cliente finale come le startup, che notoriamente hanno un basso budget.
Per riprendersi hanno cercato di puntare sulle PMI, ma si trattava di un mercato diverso ed erano impreparati ad affrontarlo.
Il secondo motivo del fallimento è stato l’incapacità del team di resistere ai primi motivi di stress.
BeMyGuru dimostra come il team sia fondamentale per la sostenibilità di una startup. Non sono sufficienti le competenze, ma persone disposte a collaborare e a mettersi in gioco, soprattutto nei momenti di difficoltà che spesso una startup è costretta ad affrontare.
RewardMe: era una piattaforma che puntava alla fidelizzazione dei clienti di ristoranti e negozi. Un’idea non troppo originale, ma accompagnata da molti finanziamenti. Presi dalla foga del successo, hanno speso tutto il loro capitale per partecipare a convegni costosi e a fiere.
Prenotavano i voli per incontrare i clienti, hanno assunto troppe persone, acquistato tonnellate di hardware prima di averlo venduto. L’azienda si è trovata in perdita, perché sì è resa conto di non avere mercato e alla fine ha dovuto gettare la spugna.
Da questo fallimento sì impara un’importante lezione, ovvero quella di validare il mercato prima di investire su aspetti complementari della propria idea di business.
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