Sei curioso di sapere cosa bisogna sapere sull’ecosistema startup? Bene! Leggi il mio focus di oggi.
Che cosa significa fare startup?
Si parla tanto di “fare startup”, proprio per questo è giusto capire a pieno il suo significato intrinseco. Per farlo si fa riferimento ai “padri” di questo ecosistema: Eric Ries, Paul Graham e Steve Blank.
Eric Ries definisce startup: “un’istituzione umana studiata per creare un nuovo prodotto o servizio in condizioni di estrema incertezza”. Quindi fare startup significa per Eric Ries sperimentare.
Paul Graham la definisce “Una società concepita per crescere velocemente”. Per Paul Graham significa crescita.
Per Steve Blank: “La startup è un’organizzazione temporanea, che ha lo scopo di cercare un business model scalabile e ripetibile”. Per Steve Blank significa scalabile.
Quale definizione prendere in considerazione? Quale associare allo slang di “fare startup”? La risposta è la giusta contaminazione e commistione di queste tre definizioni che portano a tre concetti chiave di chi oggi vuole entrare in questo ecosistema o semplicemente conoscerlo nei suoi aspetti fondamentali.
Oggi chi entra in questo mondo avrà bisogno di capire che fare startup significa allo stesso tempo sperimentare, crescere e scalare non solo in Italia, ma affacciarsi al di là dei confini alpini per scoprire nuove realtà.
In questo senso ritorna il concetto di cosmopolita che si trasferisce all’idea di fare startup. L’uomo cittadino del mondo che con le sue idee e le sue ragioni porta ad un senso di comunanza con gli altri uomini nella condivisione di un valore di unificazione dovuto a ragione, innovazione e cambiamento.
Un po’ di numeri sul mondo startup.
Il fenomeno startup è in costante crescita. Basti pensare che, stando ai dati forniti dal Ministero dello sviluppo economico, è stato registrato a fine 2018 un incremento di 111 unità nel corso di un trimestre.
Il trend, ad oggi, è costante e le startup italiane hanno superato quota 10.000 unità. Infatti, in Italia le startup innovative rappresentano il 3% di tutte le società di recente costituzione.
L’incidenza principale si riscontra a livello regionale in Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige, mentre a livello provinciale a Trieste, Trento e Ascoli Piceno.
Milano e Roma rappresentano due importanti poli per le imprese innovative italiane. In primis, Milano con 1.687 startup (che corrisponde al 17% del totale nazionale) e Roma con 969 startup (che corrisponde al 10% nazionale).
Le principali startup si riscontrano in campo tecnologico, infatti, il 34% delle startup innovative presenta il codice Ateco “produzione di software” e il 13% in “ricerca e sviluppo”. Bene anche il settore manifatturiero, in cui si colloca il 19% delle startup.
Va precisato che i soci delle startup presentano, in genere, un numero di soci superiore (in media 4,3 soci) rispetto a quelle delle altre imprese (2,1).
Inoltre, le startup, come c’era da aspettarsi, presentano una forte partecipazione giovanile. Infatti, c’è una forte componente under 35 tra i titolari di quote o cariche societarie.
Interessante, il riscontro dei bilanci 2017 che indicano un fatturato di 910 milioni di euro. Considerando il trend positivo, il valore della produzione complessivo ha superato abbondantemente 1 miliardo di euro.
La passione degli startupper
Ma cosa spinge un ragazzo intraprendente o una persona che ha già fatto le sue esperienze lavorative a fare startup. Qual è lo stimolo che lo porta a decidere di investire il suo tempo, i suoi soldi o risparmi in un progetto tutto da sviluppare?
È semplicemente il sogno americano o molto di più? Si ricordi che con “l’american dream” si fa riferimento alla speranza condivisa che con l’impegno, il duro lavoro, il coraggio e la determinazione sia possibile raggiungere i propri obiettivi, che poi si manifestano in un migliore tenore di vita.
Cosa porta il sogno americano? Sicuramente c’è una propensione ad enfatizzare il concetto di benessere materiale come misura del successo e/o anche della felicità.
Arrivare a migliori condizioni per chi fa startup può anche essere visto come una conseguenza, certo gradita, ma pur sempre un effetto del “duro lavoro”.
Vivere in migliori condizioni economiche è solo un riflesso di quello che la passione ha determinato e ha portato. La passione quindi vista come motore trainante delle persone. In questo senso emblematica è l’aforisma di Hegel: “Nel mondo nulla di grande è stato fatto senza passione”.
Per lo startupper veder realizzato il suo progetto, vedere che tutto funziona, che tutto ha finalmente un senso e che se le sue idee non sono poi così strane o bislacche rispetto a quello che tutti pensavano o dicevano forse è proprio lì che risiede la più grande soddisfazione per uno startupper.
Qui rientra prepotente il concetto di supereroe, dove un uomo comune dotato di un coraggio superiore alla norma si batte per le sue idee. Il supereroe risponde alla volontà di superare i propri limiti, di valicare quei confini ben tracciati che la maggior parte di noi non valica per paura o semplicemente perché non attratto da quella labile linea che segna l’ignoto dal conosciuto.
Cosa spinge a valicare quel confine che ai più sembra proibito? Cosa spinge un uomo a rischiare con la viva paura che il suo sogno potrà non realizzarsi?
Honoré de Balzac ci dice: “Passione è tutta l’umanità. Senza di essa, la religione, la storia, la letteratura e l’arte sarebbero inutili”.
A questo punto è giusto chiedersi: “Il mondo ha davvero bisogno di supereroi? Ha davvero bisogno di eroi che con le loro idee e il loro punto di vista trasformino o cambino in meglio la realtà di oggi?”.
La risposta è “assolutamente sì”. Si pensi alla storia di Mark Zuckerberg, di Steve Jobs o di Jeff Bezos, fondatore di Amazon.
L’idea di piccoli eroi che possano in un garage cambiare e rivoluzionare il mondo fa sicuramente sognare, ma il sogno non deve essere visto in un’accezione negativa. L’uomo che ha la capacità di guardare le cose con occhi che brillano è colui che riesce a guardare lontano. È colui che non si ferma davanti agli imprevisti, ma continua a muoversi a spostarsi e a conoscere nuove realtà. La sete di conoscenza, l’esplorazione e la capacità di guardare “oltre” sono i suoi leitmotiv. Emblematica in tal senso è una famosissima frase di Eleanor Roosevelt: “Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”.
Lo startupper non è solo l’eroe, ma è anche visto come il diverso, come la voce fuori dal coro che viene allontanata o peggio ancora derisa, perché non compresa. Ma chi è che riesce a stabilire la normalità? Chi è che stabilisce il normale da ciò che non lo è?
A questo punto è giusto fare riferimento al relativismo, dove il vero è ciò che ognuno ritiene tale. Non c’è una verità assoluta valida per tutti, ma relativa connessa alle proprie esperienze. Proprio in virtù di questo è difficile, se non impossibile, stabilire e tracciare questa linea sottile tra comune e non comune.
La diversità quindi non va vista come si è soliti ragionare con accezione negativa, ma nella sua singolarità che può portare a grandi cose.
L’importanza di un metodo: The Startup Canvas
Nonostante la forte passione, tutto questo a volte purtroppo non basta. Non è sufficiente per realizzare i propri sogni. Infatti, il 90% delle startup fallisce, quindi solo il 10% riesce a sopravvivere. Perché le startup falliscono? In assenza di metodo, dove si procede a tentoni e senza una valida conoscenza del settore il rischio di fallimento è dietro l’angolo.
Proprio per questo ho deciso di sviluppare, dopo anni di esperienza sul campo, The Startup Canvas.
È un framework nato in linea con l’approccio Lean Startup, di Eric Ries, con l’obiettivo di minimizzare gli sprechi e massimizzare l’efficienza. È una guida operativa per modellare le startup, analizzando ogni aspetto del processo di costruzione e di scale up.
The Startup Canvas, ad oggi, viene usato in molti incubatori, è approdato nelle università ed applicato a tutte le startup che seguo ogni giorno e con passione. Non solo in Italia, ma è stato esportato anche all’estero.
Le startup seguite con l’innovativo metodo hanno già riscontrato un forte successo, perché hanno trovato un metodo che le ha condotte ad una crescita sostenibile.
Questo metodo è stato divulgato nel mio omonimo libro: “The Startup Canvas. Il metodo per trasformare una idea in un successo sicuro”, best seller del mondo startup.
The Startup Canvas viene applicato nel Pay4Growth® e viene erogato da Connectia (www.connectia.it). Il Pay4Growth ®, che si basa sui modelli americani e portato in Italia, è un percorso di accelerazione che struttura le migliori strategie per la crescita sostenibile di un progetto imprenditoriale, sviluppando un investor deck completo e una corretta strategia di product development, customer development, marketing e fund raising adatta allo stage in cui si trova la startup, migliorandone in soli 6 mesi la traction.
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